
Giancarlo Giorgetti non è un sovranista in purezza, la sua liturgia si attesta più sul rito draghiano che salviniano. È noto. Per questo mi stupisce la polemica di palazzo sulle sue critiche al piano di riarmo annunciato dalla Von Der Leyen. Non credo proprio che le sue parole possano essere interpretate come di rottura verso la linea del governo o di attrito verso la premier.
Proviamo a riavvolgere il nastro e pesare le parole per quel che sono, estraneandole dal “retroscenismo” e slegandole persino – esercizio apparentemente difficile, lo so – dal pensiero di Salvini. Il ministro dell’Economia inquadra tutto rispetto al suo focus di competenza, che è innanzitutto economico e diventa politico perché ogni spesa va inserita nelle modalità che la Commissione ha richiesto come metodo. Premesso quindi che non contesta gli aiuti all’Ucraina, Giorgetti ha “solo” fatto notare che «altra cosa è la difesa e sicurezza europea che implica un programma ragionato, meditato, di investimenti in infrastrutture militari che abbiano un senso, e non fatto in fretta e furia senza una logica. Ricordo che per comprare un drone o un missile supersonico, non si va al supermercato, ci vogliono investimenti pluriennali».
Il ministro non dice che il piano non ha senso in sé, come pur qualcuno ha capito, ma è un piano privo di “un” senso, che è cosa concettualmente diversa laddove il senso è – ripeto – l’incasellamento del piano di spesa nelle regole comunitarie che, improvvisamente, trovano deroghe spurie nel senso che sono deroghe a metà visto che si tratta sempre di un debito da restituire.
Il rischio di traslare dagli investimenti pianificati per una crescita dell’economia reale e per ridurre le asimmetrie sociali italiane, a favore dell’industria bellica (i cui tempi di realizzazione sono ben lontani da un bisogno di sicurezza hic et nunc) c’è e ha molte probabilità di generare, ingigantendolo, lo stesso meccanismo emergenziale proprio dell’acquisto dei vaccini, “quaestio” presa come esempio da Giorgetti rispetto agli alti costi, alla confusa pianificazione e quindi al gigantesco spreco (con l’ipocrita scelta, aggiungo, di smaltire le dosi scadute in Africa…).
Sulla questione, inoltre, la signora Von Der Leyen non ha tutte le carte in regola per erigersi a campione di efficienza e di trasparenza.
L’assenza di “un senso” trasforma in “senso” una dinamica che abbiamo visto in molte altre circostanze, ossia l’intervento sempre in ritardo, sempre in recupero, sempre in affanno: è dalla crisi finanziaria che l’Europa dimostra le proprie lacune di visione. Possibile che l’Unione non riesca mai, in alcuna delle partite strategiche globali, ad avere un passo regolare ma sempre uno eccezionale e straordinario? Dire che ci sono 800 miliardi da spendere anestetizzando ciò che ha caratterizzato l’abc della Ue – cioè austerità e rigore come stelle polari – per il titolare dei conti pubblici è un metodo formato “fretta e furia senza una logica”. Difficile dargli torto. A maggior ragione se poi tra le opzioni di finanziamento che riecheggiano c’è pure un possibile ricorso al Mes, il cui meccanismo è tossicamente a debito.
Insomma, per chiudere, l’apparenza è che questo piano pomposamente annunciato come “ReArm Europe” rischi di scollare ancor più l’Europa dall’opinione pubblica, il cui malessere non ha mai avuto una così alta considerazione. E non saranno gli allarmi di Ursula (<L’Europa è in pericolo, siamo a un momento spartiacque>) a scaldare il cuore dei cittadini.